Roffia, Una famiglia tra leggenda e storia


Prefazione al volume di Giacomo Conti
Questo libro discende da un’attenzione molto forte nei confronti della storia e del patrimonio storico artistico di San Miniato che, a sua volta, dipende dalla consapevolezza che nella riscoperta e nella valorizzazione della storia e delle espressioni artistiche risieda una chiave di volta importante per la società contemporanea. Il lavoro dello storico consente, infatti, di disvelare le “radici” della contemporaneità ed esse ci restituiscono il processo di formazione della nostra identità attuale. Un’identità che non si può esaurire nello spazio (a ritroso) di un secolo o poco più – tanta è la porzione di passato mediamente recuperabile attraverso le memorie familiari- ma che deve necessariamente riconnettersi alla prima fucina della realtà europea di oggi: il Medio Evo.
Epoca ambigua, controversa, ancora non del tutto purificata, nella percezione comune, dai preconcetti illuministici che la identificavano con l’era “oscura” delle coscienze, soggiogate da una Chiesa che si voleva feroce ed autoritaria, da un Impero che si interpretava come tirannide sanguinaria, da un sistema sociale, infine, di cui si raccontavano soltanto le barbarie e le crudeltà. Preconcetti illuministici, dicevamo, perché di falsi giudizi si trattava, messi su ad arte per giustificare l’anticlericalismo ed il repubblicanesimo antimonarchico di quanti – tragica ironia della storia – finirono per superare, in quanto a intolleranza ed a terrore, l’aborrita Inquisizione, l’aborrito Impero, gli aborriti regni romano-barbarici.
C’è stato bisogno di un secolo e mezzo di storiografia per restituire al Medio Evo, anzi ai vari Medi Evi, il suo effettivo spessore: non di età di mezzo, non di età, appunto, oscura, si è trattato, bensì del lungo periodo di gestazione e di formazione dell’Europa occidentale.
La nostra città, San Miniato, fu frutto di quell’epoca, fu connessa con gli artefici più significativi ed importanti della storia del Pieno e del Basso Medio Evo e basti, a questo proposito, semplicemente accennare al fondamentale ruolo svolto dall’Imperatore Federico Barbarossa per la nascita stessa di San Miniato.
Va da sé, dunque, che San Miniato sia profondamente ancorato al Medio Evo, per quanto concerne la sua fisionomia più propriamente politica e civile, e dalla Prima Età Moderna, per quanto concerne invece il perfezionamento della sua “facies” ecclesiastica: al 1622 risale, infatti, l’elevazione dell’abitato a diocesi e la conseguente ascrizione al rango di “civitas”, di città.
Un libro come questo si inserisce, dunque, all’interno di un percorso intellettuale ben preciso: il progressivo raffinamento della conoscenza storica per il motivo di cui sopra e per la consapevolezza che un’adeguata valorizzazione delle vestigia del passato possa coniugarsi con l’imprenditoria più moderna ed attuale, contribuendo al consolidamento ed alla crescita dell’economia locale. Ma la valorizzazione dei monumenti e dei documenti del passato è impensabile senza storia, senza il lavoro dello storico.

 


In particolare il testo che oggi vede le stampe si occupa di storia sociale. Ricostruisce, quindi, la storia di San Miniato utilizzando un angolo prospettico molto preciso, ovvero la storia di una famiglia che, per un lungo periodo, ha costituito un’asse portante dell’assetto sociale sanminiatese: i Roffia.
Rintracciando e, poi, inseguendo le tracce dei membri di quella stirpe, i due autori ai quali è stata affidata la ricostruzione storica, ci consentono di penetrare “nel vivo” di un sistema di accreditamento sociale e di vera e propria scalata al potere inaugurato e perseguito da una casata di San Miniato. Un sistema che si dimostrò vincente perché risultò perfettamente calibrato, di volta in volta, sulla realtà coeva e che, per un certo lasso di tempo, sembrò quasi inarrestabile, perché fu sorretto da una consapevolezza assoluta dell’identità familiare. Per mezzo delle vicende Roffia, insomma, riusciamo a penetrare i “segreti” e le “strategie” di quanti, in passato, formarono l’élite sociale della loro epoca.
Senza entrare nel merito del lavoro in sé, perché deve essere letto per venire apprezzato, è doveroso aggiungere che esso si configura come il risultato di una sinergia tra persone e professionisti diverse e che ha potuto vedere la luce perché si è giovato di numerosi apporti. Il progetto fu infatti redatto da un giornalista scrittore, Riccardo Cardellicchio, uomo attento alla storia ed alle storie come può esserlo chi della cronaca , ha fatto la propria professione per lunghi anni. Furono poi incaricati due storici, Roberto Boldrini e Isabella Gagliardi, perché verificassero la fattibilità del progetto e, una volta verificatala, perché lo concretizzassero. Essi, rilevando la lacuna storiografica relativa ad una famiglia tanto significativa come i Roffia e, rassicurati dalla consistenza dell’archivio della casata, conservato per la maggior parte presso l’Archivio Comunale di San Miniato, si sono dunque messi al lavoro, cooptando per la parte letteraria una giovane e promettente laureata fiorentina, Pamela Giorgi. Si è rivelata, quindi, importantissima per la riuscita del progetto la collaborazione offerta dall’archivio comunale, nella figura del suo direttore Roberto Cerri, ma anche dell’Archivio dell’Accademia degli Euteleti, nella figura del suo direttore Luca Macchi.
A questo proposito è da sottolineare un ultimo elemento: San Miniato ed il suo territorio sono ricchi di storia e di patrimonio storico documentario e storico artistico ed ogni iniziativa tesa alla loro valorizzazione non può che essere auspicata e sovvenuta seguendo una linea di intervento culturale che, crediamo la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ha rintracciato con decisione e coerenza già da molto tempo.